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Vito Lipari
Italian politician

Vito Lipari

The basics

Quick Facts

Intro
Italian politician
Places
Work field
Gender
Male
Birth
Place of birth
Castelvetrano, Italy
Place of death
Castelvetrano, Italy
Age
42 years
The details (from wikipedia)

Biography

Vito Lipari (Castelvetrano, 1938 – Castelvetrano, 13 agosto 1980) è stato un politico italiano, ucciso dalla mafia.

Biografia

Dirigente del Consorzio sviluppo industriale di Trapani. Dirigente della Democrazia Cristiana, fu consigliere comunale per diverse consiliature e sindaco di Castelvetrano (TP) dal 1967 al 1968 e successivamente dal 1974 al 1976. Vicino alle posizioni dell'allora Ministro della Difesa, Attilio Ruffini.

Tornato sindaco dall'ottobre 1978 all'aprile 1979, alle elezioni politiche del 3 giugno 1979 risultò primo dei non eletti alla Camera dei deputati nella lista DC nella circoscrizione Sicilia Occidentale dove, sostenuto dagli esattori Ignazio e Antonino Salvo, ottenne ben 46 000 preferenze.

Divenne segretario provinciale della DC e fu rieletto sindaco di Castelvetrano nel luglio 1980.

L'omicidio

Viene assassinato la mattina del 13 agosto 1980, dopo essere uscito dalla sua casa nella frazione marinara di Triscina, a colpi di pistola tra cui quello di grazia alla testa. La pistola che sparò risultò provenire dalla mafia catanese, a conferma dell'alleanza tra le cosche trapanesi e quelle di Catania, utilizzata poi anche nel delitto del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto.

Le indagini

Circa tre ore dopo il delitto, una Renault 30 viene fermata da una pattuglia di carabinieri ad un posto di blocco alle porte di Mazara del Vallo: a bordo dell'auto si trovano i mafiosi Mariano Agate, capo della cosca di Mazara del Vallo, Nitto Santapaola, capo della cosca di Catania, Francesco Mangione e Rosario Romeo, che vengono arrestati.

Santapaola e i suoi compagni di viaggio non vengono neanche sottoposti al guanto di paraffina perché egli stesso dichiara di aver partecipato, il giorno precedente, ad una battuta di caccia a casa di un amico di Catania. Il capitano Vincenzo Melito, comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Trapani, si reca quindi a Catania per verificare gli alibi, e al suo ritorno i quattro vengono scarcerati dal magistrato pro-tempore. Nel 1984 viene svelata una parte dei fatti: nell'interrogatorio sarebbe emerso che Santapaola era andato in provincia di Trapani per risolvere dei problemi che aveva l'imprenditore edile Gaetano Graci (l'amico di cui non era stato fatto il nome nel 1980), il quale aveva degli interessi nel trapanese per conto di "personaggi al di sopra di ogni sospetto". Contemporaneamente, Melito viene arrestato con l'accusa di aver avallato il falso alibi di Santapaola in cambio della stessa automobile su cui il boss catanese e i suoi amici erano stati trovati il giorno dell'omicidio di Lipari; condannato in primo grado a due anni per corruzione, sarà in seguito assolto poiché il fatto non sussiste dalla Corte d'assise d'appello di Palermo con sentenza confermata in Corte di Cassazione.

Secondo alcune fonti, Lipari sarebbe stato ucciso perché in possesso di documenti che testimoniavano la speculazione edilizia che avvolgeva la ricostruzione della valle del Belice dopo il terremoto del 1968.

I processi

Nel 1985 vengono condannati in primo grado all'ergastolo Nitto Santapaola, Mariano Agate, Francesco Mangione e Rosario Romeo per l'omicidio di Vito Lipari, ma poi assolti nel 1992 in appello a Palermo con sentenza confermata in Cassazione nel 1993.

Nel 1992 il pentito castelvetranese Vincenzo Calcara si autoaccusò dell'omicidio di Lipari e rivelò che il mandante era l'allora consigliere comunale di Castelvetrano Antonino Vaccarino, perché "bramoso di divenire primo cittadino", accusandolo anche di essere affiliato alla cosca di Castelvetrano, nella quale avrebbe ricoperto il ruolo di consigliere del boss Francesco Messina Denaro. Arrestato, Vaccarino fu poi assolto da quell'accusa, mentre Calcara fu ritenuto inattendibile.

Nell'aprile 2019, al processo di Caltanissetta, il collaboratore di giustizia mazarese Vincenzo Sinacori si autoaccusò del delitto, affermando di averlo compiuto su indicazione dei corleonesi.

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