Augusto Antonio Dirani
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Biography
Augusto Antonio Dirani (Forlì, 16 novembre 1897 – Forlì, 1983) è stato un pittore italiano di scuola forlivese.
Biografia
Figlio di Ercole Eteocle Dirani e della ferrarese Elvira Pozzi, la sua famiglia gestiva un negozio di cuoio e pellami nel borgo Ravaldino, cuore del centro forlivese, e apparteneva alla piccola borghesia mercantile cittadina. Antonio (Nino come lo chiamavano in famiglia) dimostrò fin da bambino una certa dimestichezza per il disegno ed una sensibilità per la pittura che Edvige Dirani, zia dell'artista e maestra elementare fra le più note a Forlì, nei primi decenni del Novecento ricordava con particolare affetto, riferendosi ad alcuni deliziosi puttini dipinti su un paravento, che il piccolo Nino, all'età di 3/4 anni, contemplava a lungo in silenzio. Un precoce interesse dimostrato anche da ragazzino, quando si divertiva a disegnare sul lastricato del torrione di Forlì (ex acquedotto), probabilmente suggestionato dalla vicina rocca di Ravaldino e dalle sue storie, scene di cavalieri che attiravano l'attenzione e gli elogi dei passanti.
Quella dei Dirani era una famiglia in cui si tramandavano solide tradizioni repubblicane e si respirava un'aria progressista. Il nonno dell'artista, Gaetano Dirani (1834-1887), consigliere comunale a Forlì per una ventina d'anni, fu attivamente impegnato nella causa dell'unità d'Italia, come testimoniano le lettere autografe inedite inviategli da Giuseppe Mazzini e da Aurelio Saffi, in parte donate alla Biblioteca forlivese, da cui se ne evince il ruolo di referente fiduciario nell'organizzazione locale del partito. Pur non impegnandosi mai attivamente in politica, il giovane Nino crebbe con un forte senso civico ed una consapevolezza del valore della libertà umana che incideranno anche nelle sue scelte di vita e di lavoro.
L'ottima mano nella pittura e nel disegno lo posero in evidenza anche nel corso della Grande Guerra quando, arruolatosi nel 5º Reggimento Artiglieria da Campagna, venne incaricato di avvicinarsi pericolosamente alle trincee austriache per schizzarne le posizioni nelle carte geografiche, missione che gli consentì di ricevere, nel novembre 1918, la Croce al Merito di Guerra.
Conseguita la licenza tecnica entro il 1920, si diplomò professore di disegno a Ravenna (assieme ad altri due giovani promettenti, che diventeranno poi fra i più conosciuti ed apprezzati artisti forlivesi: Francesco Olivucci e Umberto Zimelli), dove ebbe come docenti Guaccimanni, Guerrini, Piazza e Masserenti. Poi nel 1922/24, frequentava a Roma l'Accademia di Belle Arti, sotto la guida di Umberto Coromaldi, che era stato a sua volta allievo di Giovanni Fattori. Un importante tradizione pittorica che, se pur aliena da qualsiasi concessione alla tecnica dei macchiaioli, tramanderà a Dirani il gusto per certe scene di paesaggio campestre, con tanto di cavalli al pascolo o di buoi in primo piano.
- Una grande opportunità di studio e di vita, quella romana per Dirani, come per qualsiasi giovane artista che ambisse ad una
formazione ben più aggiornata ed interessante di quanto potesse offrire l'ambiente locale. Quando infatti, si trasferisce a Roma, la capitale viveva già fin dal 1918 nuovi fermenti culturali e radicate prese di posizione programmatiche segnate soprattutto dalle esperienze del gruppo di "Valori Plastici" e quella di artisti quali Francalancia, Spadini, Bartoli, Socrate, Oppo le cui esperienze costituirono le radici della Scuola Romana. E' evidente che Dirani guardò ad alcuni di questi artisti, soprattutto ad Armando Spadini dal cui lirico ottimismo appaiono ispirati alcuni dipinti di quegli anni.
- Nel1920 era stato fondato a Forlì dal pittore Giovanni Marchini e da don Tommaso Nediani, il Cenacolo Forlivese cui aderirono artisti fra i più noti e rappresentativi del panorama romagnolo di quegli anni, come Stanghellini,
Zimelli, Angelini, Maceo, Muratori, Bissi, Carloni, Brunetti Fanti, Pio Rossi, Baldani. Anche Dirani sarà fra gli attivi protagonisti di quella promettente stagione, che purtroppo durò soltanto fino al 1928; fra i documenti dell'epoca si conserva ancora un pieghevole del 1922 che costituiva il catalogo della "Mostra Intima", allestita nella sede del Cenacolo, la Barriera Vittorio Emanuele di Forlì, in fondo a Borgo Cotogni (poi abbattuta per lasciare il posto ai due palazzigemelli progettati dall'architetto Cesare Bazzani).
- Una bella retrospettiva dedicata al pittore forlivese Augusto Antonio Dirani (1897-1983) ed allestita in due sedi: Palazzo Albertini (aperta
fino al 5 aprile) e Palazzo ex Monte di' Pietà (aperta fino al 30 aprile) viene a colmare un silenzio che si è protratto per troppo tempo sull'opera del pittore. Lui stesso, Augusto Antonio, per lunghi decenni non aveva più voluto esporre pubblicamente le sue opere pur dedicandosi con continuità alla pittura. Gli anni particolarmente attivi e vivaci del suo iter pittorico furono quelli attorno al 1920-30: In quel periodo l'artista si diplomò in disegno a Ravenna, frequentò l'Accademia di Belle Arti a Roma, fu membro attento e partecipe della importante esperienza del Cenacolo Artistico Forlivese, partecipò alla Biennale di Venezia del 1926 con l'opera 'Tenerezze', si trasferì per due anni in Argentina dove insegnò all'Accademia di Belle Arti di Buenos Aires, svolse intensamente l'attività di ritrattista e illustrò le copertine di un'importante rivista 'La Prensa'. Poi, in seguito a gravi problemi familiari, ritornò definitivamente a Forlì dove si impiegò all'associazione Commercianti, senza però mai abbandonare i pennelli. La sua arte è figurativa: le immagini, pur realistiche, sono avvolte da un'atmosfera lirica che a volte si stempera in attimi di malinconia. I colori sono sempre vivaci e intensi, il segno incisivo come dimostrano alcuni disegni esposti nella rassegna. Anche la pennellata che inizialmente era veloce e larga, col tempo è diventata più lieve e, in alcuni casi, sognante. Scene di vita domestica si alternano ai ritratti e ai paesaggi proposti con dolcezza infinita. Ai tempi del Cenacolo artistico forlivese, Dirani strinse rapporti di amicizia con Marchini, Zimelli, Olivucci, Muratori, Severi, Camporesi e Boifava, ma la sua inesausta sete di conoscenza lo portò a visitare mostre di autori contemporanei soprattutto nel periodo veneziano e romano. Nonostante l'alternarsi continuo di avanguardie nel campo artistico novecentesco, Dirani rimase fedele a se stesso, al suo mondo fatto di indagine nell'intimità e di profonda sensibilità. La retrospettiva, curata da Silvia Arfelli, è quindi un doveroso omaggio verso una personalità che ha lasciato un segno nella realtà artistica forlivese del Novecento.
- Nel1926Dirani partecipa alla XV Esposizione Internazionale d'Arte della Città di Venezia, imponendosi
nonostante una selezione rigorosa che aveva ridotto i 758 artisti concorrenti a 217, fra cui vanno sottolineati anche nomi che sarebbero assurti presto ad alto prestigio, come quello di Filippo De Pisis, Michele Cascella, Fausto Pirandello, Mario Tozzi, Cagnaccio di San Pietro e dello scultore Francesco Messina. Fra i pittori forlivesi, oltre a Dirani soltanto Pietro Angelini ebbe l'opportunità di partecipare alla Biennale di Venezia nel 1928 e l'opera di Dirani scelta dalla giuria della Biennale si intitola Tenerezze, un dipinto ad olio dalla "ben costruita scena", come scrisse la critica veneziana dell'epoca, che rappresenta l'intimo scambio di sguardi e di gesti fra una madre ed il bimbo di pochi mesi, in cui sono raffigurati la moglie Iolanda Corbara ed il figlio primogenito Gianfranco.
- Se l'esperienza all'Accademia di Belle Arti di Roma era stata entusiasmante e ricca
di stimoli per un artista che proveniva dalla provincia italiana, il breve soggiorno a Venezia ed il clima che si respirava attorno alla Biennale Internazionale d'Arte si rivelarono fondamentali nel percorso di formazione del giovane Nino, che ebbe l'opportunità di conoscere le opere di Felice Carena e Ardengo Soffici, di cui erano allestite due personali, mentre due retrospettive erano dedicate a Giovanni Segantini e Arnold Bocklin. Per la prima volta veniva presentata a Venezia anche una mostra del Futurismo Italiano, a cura di Filippo Tommaso Marinetti. Comincia infatti quell'anno il processo di strumentalizzazione del movimento Futurista da parte del fascismo, diciassette anni dopo la sua comparsa sulle scene dell'arte e dopo che il suo maggior esponente nella pittura, Umberto Boccioni, era morto nel 1916. Marinetti, fondatore e ideologo del Futurismo, viene infatti fagocitato dal regime, che lo nomina Accademico d'Italia: da allora fino al 1942 Marinetti organizzerà ad ogni edizione della Biennale una mostra dedicata alla pittura futurista.
- Per Dirani il ritorno da Venezia non è fra i migliori. La prestigiosa esperienza
alimenta malumori e qualche invidia nell'ambiente artistico forlivese e il pittore, pur potendo contare su un talento non comune e su alcune committenze private soprattutto nella ritrattistica, non riesce a svolgere a Forlì un'attività pittorica degna ed appagante. Scontò probabilmente il fatto che la sua pittura non avesse implicazioni con il regime, che evidentemente non ebbe il Dirani in grande simpatia, com'è possibile apprendere dalla stampa fascista forlivese dell'epoca: "Antonio Dirani e Francesco Olivucci, due giovanissimi pittori forlivesi (...) Il Dirani con le sue tele non ha convinto. Il Dirani all'opposto di Olivucci, ha bisogno di disciplinare la sua attività (...) Non possiamo condannare la sua mostra, ce n'è di buono. Due pastelli "La bettola" e "Oratoria notturna" e nel bianconero "Testa di vecchio", "Sofferente", "La puerpera" (...). (G.C.Albonetti "La mostra Dirani-Olivucci" in Il Popolo di Romagna", v,43, ottobre 1926, p.2).
- Non è difficile immaginare quanto potesse ferire nell'intimo una critica di questo
tenore, espressa soltanto pochi mesi dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia. Nel 1929 quindi, Dirani decide di partire per l'Argentina, dove raggiunge il padre emigrato a Buenos Aires, e dove rimane per circa 2 anni, svolgendo un'intensa attività di ritrattista e lavorando per una casa editrice locale come illustratore delle copertine della rivista "La Prensa", equivalente all'italiana "Domenica del Corriere". Nel 1931 partecipa a Buenos Aires al XXI Salon Nacional de Bellas Artes con una pregievole "Naturaleza muerta", tuttora esposta al Museo Permanente e pubblicata nel catalogo ufficiale.
- Oltreoceano l'artista sembra aver trovato finalmente la sua
dimensione professionalegli viene offerta la cattedra presso l'Accademia delle Belle Arti di Buenos Airese dalla municipalità argentina ottiene anche l'utilizzo di un locale che adibisce a proprio studio; ma proprio quando torna in Italia con l'intenzione di portare con se la famiglia per trasferirsi definitivamente nel paese sudamericano, si manifesta la malattia della moglie, che la porterà rapidamente alla morte lasciando l'artista solo con il piccolo Gianfranco di cinque anni.
- L'improvvisa tragedia familiare cambia definitivamente la
vita e il destinodi Dirani, che resterà a Forlì, impegnato in un lavoro impiegatizio che, per provvedere dignitosamente a se stesso e al figlio, diventerà da quel momento l'occupazione principale.
- Continua a partecipare sporadicamente a qualche esposizione
collettiva, perché la sua vena artistica non si è esaurita e troverà, anzi, nuova linfa nell'incontro con la forlivese Fernanda Dall'Agata, conosciuta all'Associazione Commercianti dove entrambi lavorano, con cui avvia una romantica relazione che culminerà con il matrimonio nel 1933 e con la nascita del figlio Alberto nel 1941.
- La ritrovata serenità nel privato si traduce in periodi di
feconda attività artistica: numerosi sono i dipinti ad olio ed i disegni che prendono spunto dalla vita familiare; le figure femminili in solitaria passeggiata nei sentieri di Alfero e di Verghereto rappresentano spesso la moglie, che diventa la modella prediletta anche per numerosi ritratti, riprendono scene di vita domestica, assumono dalle vacanze al mare o sulle Alpi valdostane. Anche il "Mercato di Verghereto", un olio realizzato nel 1938 che appartiene alle raccolte civiche dei Musei forlivesi, è da annoverare tra gli esiti di un momento particolarmente fortunato e felice della vita di Dirani.
- Della sua produzione restano anche opere caricaturali ed
ispirate ad una sana ironia, a volte realizzate di getto durante i tempi lunghi delle riunioni lavorative e poi perfezionate a casa, con tanto di colori a china o ad acquerello, oppure rivolte agli amici, alle persone conosciute. Le caricature sono saporose e personalissime (vi compare anche l'amico Olivucci), pungenti, allegre.
- Nell'ottobre 1945 partecipa, assieme a Francesco Olivucci e
Anacleto Margotti, alla "Mostra dell'Autoritratto", collettiva organizzata dal Circolo Artistico di Bologna nel palazzo comunale della città felsinea, dove la commissione di accettazione è composta dai pittori Protti, Romagnoli, Luigi Cervellati, Barnabè, Gherlinzoni e dallo scultore Boari: "In attesa dei cartelloni russi di guerra in modello originale, che un disguido del corriere farà probabilmente ancora tardare, il Circolo Artistico è venuto nella determinazione di aprire intanto la Rassegna dell'Autoritratto", si legge nell'invito alla mostra, a testimonianza della tenacia e della passione con cui le pratiche artistiche riprendevano il proprio corso, nonostante le difficoltà dell'Immediato dopoguerra.
- E diversi sono gli autoritratti che Dirani ha realizzato in
differenti età della sua vita, vivaci e di linea sciolta, e non immuni da una certa indagine psicologica e sentimentale, oltre ad innumerevoli schizzi di studi di anatomia, cui si dedicava con impegno, e molti di soggetti animali, un'altra delle sue passioni, realizzati spesso su carta a quadretti di block notes. Dedicò buona parte della sua pittura al paesaggio, che amava realizzare en plain air, con la "tavolozza da passeggio", come amava dire, e che ancora la famiglia conserva: nelle sue opere fissa il verde della vallata bidentina, i boschi di quel primo Appennino meta di tante gite e vacanze da bambino, in cui aveva continuato a tornare nel corso degli anni. Poche sono invece le nature morte e le marine. Numerosi i ritratti della moglie Fernanda, alcuni di un bel sapore Anni '30 e innumerevoli disegni tracciati da un segno sicuro e definito, realizzati in un chiaroscuro ben studiato e calibrato.
- Antonio Dirani era un uomo che amava i confronti culturali e
non solo con i pittori a lui affini, con cui aveva stabilito veri rapporti d'amicizia, ma anche con il musicista forlivese Cesare Martuzzi, che ne frequentava la casa e di cui, intorno alla metà degli anni quaranta, eseguì un ritratto ad olio: si narra che, in una sorta di scherzoso accordo fra i due,Dirani insegnasse a Martuzzi i segreti della pittura, e in cambio Martuzzi insegnasse all'amico pittore a suonare la chitarra classica; ma già in passato, durante gli anni romani aveva coltivato un'amicizia con lo scrittore Massimo Bontempelli, teorico del realismo magico.
- Nonostante il diffuso apprezzamento per i suoi dipinti, i
ritratti in modo particolare, oggi presenti in numerose collezioni private, egli non riprese più la libera professione. Mantenne, anzi un certo distacco dall'ambiente artistico cittadino e dall'ufficialità della cultura e delle mostre d'arte, respingendo fino alla morte, avvenuta nel 1983, ogni proposta espositiva.